RECENSIONE IL RACCONTO DELLL’ANCELLA

  




Titolo: Il racconto dell’ancella
Autore: Margaret Atwood
Editore: Ponte Alle Grazie
Pagine: 398
Prezzo: 16,80 €

«Esiste più di un genere di libertà, diceva Zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell’anarchia, c’era la libertà di.Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo.»
Trama
In un mondo devastato dalle radiazioni atomiche, gli Stati Uniti sono divenuti uno stato totalitario, basato sul controllo del corpo femminile. Difred, la donna che appartiene a Fred, ha solo un compito nella neonata Repubblica di Galaad: garantire una discendenza alla élite dominante. Il regime monoteocratico di questa società del futuro, infatti, è fondato sullo sfruttamento delle cosiddette ancelle, le uniche donne che dopo la catastrofe sono ancora in grado di procreare. Ma anche lo Stato più repressivo non riesce a schiacciare i desideri e da questo dipenderà la possibilità e, forse ,il successo di una ribellione. Mito, metafora e storia si fondono per sferrare una satira energica contro i regimi totalitari. Ma non solo: c’è anche la volontà di colpire, con tagliente ironia, il cuore di una società meschinamente puritana che dietro il paravento di tabù istituzionali, fonda la sua legge brutale sull’intreccio tra sessualità e politica. Quello che l’ancella racconta sta in un tempo di là da venire, ma interpella fortemente il presente.

Recensione
In questo romanzo la Atwood ci racconta la storia di Difred che perseguitata da questo nuovo esercito, l’esercito della Repubblica di Galaad appunto, cerca di mettersi in fuga verso il Canada con suo marito e la figlia piccola. Vengono arrestati , il marito sparisce, la bambina viene data in affidamento ad una delle famiglie di elevato rango e lei portata in un centro rosso dove inizierà la sua vita da Ancella. 
Inizia cosi per Difred una vita fatta di sottomissioni e schiavizazzioni al fine di procreare un erede per il comandante Fred la cui moglie è stata dichiarata sterile.
Veniamo cosi catapultati in un mondo assurdo, un mondo che ci vede come delle proprietà di uomini più ricchi e più forti di noi. Con addosso tutto il peso di una popolazione che sta morendo a causa dell’azzeramento delle nascite.   
<< Per le generazioni che verranno, diceva Zia Lydia, sarà molto meglio. Quando il livello della popolazione sarà salito, non sarete più costrette a trasferirvi da una casa all’altra, il vuoto sarà colmato.>>

Ed è proprio così che vi sentirete per tutto il tempo, come un qualcosa da usare per colmare un vuoto! Quante volte abbiamo provato questa sensazione nella vita reale? Succede anche nelle storie d’amore in fondo, a volte si entra nella vita di una persona, e ci si sente come usati per colmare un vuoto. Solo che in quel caso a noi viene lasciata la libertà di scelta, possiamo restare e farci usare, oppure andare via! A Difred questo è negato. Così passano i giorni, le settimane, i mesi, e via via lei diventa sempre meno presente a se stessa ma soprattutto nella vita delle persone che una volta l’hanno amata veramente. 

<< Sono stata cancellata per lei. Sono solo un ombra adesso ... L’ombra di un’ombra, come le madri morte. Puoi vederglielo negli occhi: io non ci sono. >> 

E così anche le persone che lei ha amato nell’altra vita, prima di questa da Ancella, iniziano a non esserci più. Come se pensarle morte possa attutire in qualche modo il peso della loro assenza. Pensarle morte addirittura è meglio, aiuta la mente a non impazzire! 

<< Non so più quando l’ho vista per l’ultima volta. Non sapevo che sarebbe stata l’ultima volta... Ora non riesco neppure a ricordare cosa ci siamo dette.>> 

Chi di noi non si è trovato nella condizione di pensare “sono in gabbia, non c’è via d’uscita”? Quante volte invece abbiamo trovato la luce in fondo al tunnel? Questo libro vi toglie ogni speranza di poter uscire da quel sistema in cui vi trovate imprigionate. Nelle sue parole si percepisce tutta la tristezza e il totale abbandono della speranza. 

<< Mi dispiace che ci sia tanto dolore in questa storia. Ma non c’è nulla che possa fare per cambiarla.>> 

Molte volte succede anche nella vita reale di trovare nella sofferenza e la personale infelicità il modo di adattarsi. Farsi andare bene le cose per forza, perché come dice lei, a volte non c’è nulla che si possa fare per cambiare. E allora ci facciamo spazio in questa nuova realtà, convincendoci giorno dopo giorno che in fondo va bene anche così, che c’è comunque sempre il lato peggiore in ogni situazione. 

<< Penso che in qualche modo mi sono fatta una vita anche qui. Siamo tutti molto adattabili, diceva mia madre... >>

Ed è quando troviamo questa nuova dimensione tutta nostra che ci leghiamo di nuovo inesorabilmente alla vita. Come svegliati da un torpore che non ci permetteva più di renderci conto che in fondo siamo vivi, respiriamo, ci nutriamo e possiamo ancora godere del raggio di sole che ci scalda la pelle. Ci facciamo bastare quello che abbiamo, perché dentro di noi si fa spazio la convinzione che c’è chi tutto questo non può più farlo. 

<< Non voglio soffrire. Non voglio essere una ballerina, coi piedi sospesi da terra e la testa chiusa in un rettangolo di stoffa bianca. Voglio continuare a vivere, in qualsiasi modo.>> 

Questo libro non racconta solo la storia di una donna costretta a sottomettersi ad un sistema sbagliato. Racconta la paura di non ritrovare più le persone che amiamo, racconta l’abbandono, da noi stessi e dagli altri, racconta di come anche nelle avversità si possa comunque trovare la forza di vivere con tutto il corpo e tutta l’anima. Tratta senz’altro delle tematiche dure e difficili da trasmettere, ma vi assicuro che questo libro vi trasmette tutto. Arriva in modo prepotente a toccare le corde giuste! 

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