RECENSIONE: ACCABADORA DI MICHELA MURGIA
Titolo: Accabadora
Autore: Michela Murgia
Editore: Einaudi
Pagine: 163
Prezzo: 11,00 €
<< Accabar, in spagnolo, significa finire. E in sardo Accabadora è colei che finisce. >>
Trama
Maria e Tzia Bonaria vivono come mamma e figlia, ma la loro intesa ha il valore speciale delle cose che si sono scelte. La vecchia sarta ha visto Maria rubacchiare in un negozio, e siccome nessuno la guardava, ha pensato di prenderla con sé, perché << le colpe, come le persone, iniziano a esistere se qualcuno se ne accorge >>. E adesso ha molto da insegnare a quella bambina cocciuta e sola: come cucire le asole, come armarsi per le guerre che l’aspettano, ma soprattuto imparare l’umiltà di accogliere sia la vita che la morte.
Recensione
Maria è la quarta figlia femmina di una donna povera. A soli 6 anni viene consegnata a Bonaria Urrai, una vecchia sarta nubile e senza figli, che si impegna a crescerla e a insegnarle i giusti valori della vita. A Maria non manca l’istruzione, Tzia Bonaria ci tiene che lei frequenti la scuola. Nei mesi di vendemmia Maria aiuta la famiglia di Andrìa, un ragazzino che presto diventa il suo più caro amico. La vita in questo piccolo paesino della Sardegna scorre tranquilla, finché un giorno Nicola, il fratello di Andrìa, colpito ad una gamba da una pallottola perde l’arto e la vita di tutti viene stravolta.
<< Hai deciso di far sentire in colpa tutti quelli a cui sono rimaste due gambe, oltre a farti commiserare finché il Signore ti lascia fiato. È normale, Nicola. Lo fanno in molti, e di solito sono coloro che non hanno il conforto della fede, o non lo vogliono avere. >>
Nicola, caduto in uno sconforto profondo arriva al punto di implorare la morte. Non curandosi del vuoto e del dolore che lascerebbe nel cuore e nell’anima delle persone che lo amano.
<< Mia madre trova motivo di contentezza solo nel prendersi cura di qualcuno. Non le par vero che io sia tornato bambino, non è questo motivo per me di stare al mondo. >>
Vengono a galla così i segreti di Bonaria, conosciuti da tutto il paese meno che da Maria, la quale sentendosi tradita decide di partire lontana da tutto e da tutti per ricominciare una nuova vita. Ma si può veramente contare su un nuovo inizio se si ha in sospeso ancora quello vecchio?
Non avevo mai letto un libro di questa autrice, e quando il mio compagno me l’ha suggerito devo dire che ero veramente molto entusiasta e impaziente di iniziare a leggerlo. Nei primi 5 capitoli devo essere sincera, la voglia di abbandonare questo libro mi ha spesso frenata nella lettura. Le tematiche trattate sono tematiche forti, molto presenti nella nostra società e nel quotidiano, ma il modo in cui l’autrice arriva al punto in cui si inizia a capire il senso del libro, è troppo prolisso per i miei gusti. Passato il settimo capitolo ho iniziato ad avvertire il bisogno di capire come va a finire. L’eutanasia in tutte le sue sfaccettature negli anni ha fatto molto discutere e spesso ci siamo trovati a sentirci giudici della vita altrui. In questo libro si percepisce il bisogno sordo di un ragazzo che rifiutando la sua nuova condizione di vita, desidera con tutto se stesso non essere un peso per nessuno. Persino l’amore della madre gli sembra egoistico. Spesso sottovalutiamo l’aspetto emotivo di chi è in una situazione in cui non riesce nemmeno più nelle piccole cose e ci ritroviamo a giudicare la persona come poco rispettosa del dono della vita. La vita è si un dono inalienabile, ma è giusto viverla a metà o non viverla per niente? Dall’altra parte c’è il peso di chi invece ha in mano il “potere” di porre fine alla sofferenza. È veramente giusto porre fine alla vita di una persona “solo” perché non riesce ad accettare il destino avverso? Quando porre fine ad una vita è giusto e quando non lo è? Chi può ed ha diritto di scegliere quando porre la parola fine? Io nel ruolo di Accabadora mi ci sono trovata anche se nel mio caso non c’è stata una vera e propria eutanasia. Ho dovuto scegliere se valeva la pena continuare o lasciarlo andare lentamente. In quei momenti più volte ho pensato che magari porre fine alle sue sofferenze in un modo veloce e netto, sarebbe stato meglio. Ma quel pensiero per me era più sopportabile, sapevo che in ogni caso non c’era salvezza per la persona che stavo perdendo, potevo però rendergli meno grave la morte lenta. Se invece una speranza di vita normale, anche con qualche rinuncia e disabilità, ci fosse stata, sarei riuscita allo stesso modo a porvi fine se questa fosse stata la sua richiesta? Seppure io non sia riuscita ad entrare in “contatto” come solitamente sono abituata a fare con i personaggi di un libro, queste domande sono arrivate a bussare alla porta del cuore.
In ogni caso è una storia avvincente che lascia aperto uno spiraglio su quella che sembra una storia piatta e poco entusiasmante.
Lascerò senz’altro un altra opportunità a questa autrice che sento può ancora donarmi qualcosa. Vi lascio con una frase che a me ha portato a tante riflessioni
<< Io sono l’ultima madre che alcuni hanno visto. >>